In questo numero di «Meridiana» proviamo a raccontare l’emergere, nell’ultimo ventennio, di una chiave di lettura per le scienze sociali di molti fenomeni, raccolti sotto l’etichetta di «cosmopolitismo», cercando di capire le ragioni di una vera esplosione bibliografica e il senso che si racchiude sotto un termine-chiave evidentemente troppo amplio per poter essere uniforme nella sua applicazione. Si tratta di un concetto la sua cui poliedrica ambiguità possiamo attribuire a conglomerati concettuali anche molto distanti. C’è chi ha dato del cosmopolitismo una lettura emi- nentemente politica e normativa, vale a dire l’ingresso in un quadro globale di governance planetaria. Altri hanno visto nel cosmopolitismo il riemergere all’attenzione analitica del vecchio quadro cinico-stoico del «cittadino del mondo», vale a dire una prospettiva sostanzialmente individuale ed esistenziale. Qualcuno ha puntato più decisamente sulla novità del fenomeno, individuando nel cosmopolitismo il quadro che rende possibili nuove configurazioni transnazionali soprattutto tra movimenti sociali, per cui è cosmopolita l’approccio delle comunità virtuali o del movimento no global. Sempre dentro questa attenzione per la contemporaneità, altri infine hanno usato il cosmopolitismo come una categoria descrittiva, per associarla a nuove forme di movimento nello spazio di persone, beni e segni. I casi di studio presentati nei saggi sono molteplici e indagati secondo la prospettiva dell’antropologia culturale, spaziando dai faqir su pakistani ai rifugiati eritrei ed etiopi; dai tamil profughi a Parigi ai giovani panjabi di diversa estrazione sociale migrati in Europa; dai padri bangladesi tra Roma e Londra agli stranieri che vivono nei quartieri spontanei dei centri urbani ghanesi. Al di là delle divergenze interpretative, un punto emerge chiaro. Il cosmopolitismo non può mai essere, costitutivamente, monologico, vettoriale in un’unica direzione, quello semmai si chiama nazionalismo, espansionismo, colonizzazione, annessione, al limite «progresso». Il cosmopolitismo necessariamente dialogico di cui in questo numero proviamo a tracciare i contorni morali è un rapporto almeno bidirezionale, una richiesta e un riconoscimento, un’interpellazione e una risposta, un chiedere e un dare. Dentro questa logica ci saranno forme vernacolari, occidentaliste, strategiche e per no parassitarie di cosmo- politismo, specchietti per le allodole, adeguamenti di necessità fino a forme utilitaristiche massimizzanti, ma nondimeno il gioco sarà aperto, la partita dell’interazione umana sarà stabilita nei limiti del campo di gioco. Il cosmopolitismo è invece finito quando uno dei due si chiama fuori, quando la richiesta di ospitalità è respinta al mittente, quando chiedere non è più consentito e quando prestare soccorso a chi ha bisogno viene per- cepito come illegittimo o addirittura illegale. A quel punto non serve più chiedersi se il cosmopolitismo abbia una sua radice storica inevitabile nell’Occidente o se invece possa essere sorto autonomamente in altre porzioni dell’umano. A quel punto, quando è stato negato, il cosmopolitismo è stato sradicato, si è spento, non ha più senso parlarne o cercarne la storia.
Dettagli libro
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Editore
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Lingua
Italiano -
Data di pubblicazione
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Numero di pagine
241 -
Argomento
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Collana
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